Recensione:
Quando ho finito di leggere questo romanzo ho provato tanta angoscia e tanta paura.
Sì lo confesso, ho sofferto molto nel finire questa storia, perché mi ha davvero sconvolto e lasciato senza fiato.
Ancora non so definire il genere di questo libro se sia un thriller psicologico, un horror o una sorta di viaggio introspettivo nella vita del piccolo Giona.
L’inizio del libro ci presenta il racconto in prima persona di Giona, che abita con il nonno Alvise che lo tratta male e gli infligge delle punizioni fisiche e psicologiche. Da subito, questa prima parte, suscita nel lettore un forte senso di rabbia nei confronti del vecchio parente e anche una sorta di protezione per il bambino.
“Il nonno mi punirà perché per ogni azione, giusta o sbagliata, c’è sempre una lezione che io devo imparare.”
Alvise è un uomo autoritario, severo e senza cuore e vuole che Giona segua le sue regole e se non lo fa lo punisce in modo che capisca la lezione.
“«Deve essere così. Diffida di chi impara con gioia, perché ciò che si apprende senza dolore, altrettanto facilmente si dimentica.»”
Giona ad un certo punto ha la possibilità di scappare dalla casa del nonno e da qui il libro entra in una nebbia fitta fatta di ricordi confusi del bambino e anche il lettore non capisce più nulla, nemmeno il nome del protagonista che potrebbero essere Giona o anche Luca.
Ad un certo punto mi sono posta una domanda, quale fosse il significato di questo libro e solo nelle ultime quaranta pagine ho trovato le risposte che cercavo.
L’autore è riuscito a creare in maniera abile una serie di intrecci e di personaggi che solo alla fine trovano un senso, che personalmente mi ha sconvolto molto.
Ho trovato la parte finale molto scorrevole mentre il resto del romanzo è stato un po’ lento, perché la narrazione non è così facile da seguire e da capire. La trama subisce dei forti rallentamenti andando ad analizzare quello che prova Giona, le sue parole, le sue sofferenze e il dolore che prova e che ha provato.
La maggior parte del libro verte sull’incertezza mista alla curiosità del lettore di capire qualcosa, quindi bisogna riporre tanta fiducia nell’autore e nella narrazione che ha creato, solo così riusciamo ad andare avanti e a finire il romanzo.
Il finale è a sorpresa e risolse tutti i vari intrecci e sicuramente ne vale la pena aver superato i dubbi iniziali e aver continuato la lettura.
Quello che più mi ha colpito è la scrittura precisa, ricca, dettaglia dell’autore che sorprende e arricchisce sicuramente la storia.
Pertanto quello che vi posso consigliare è di non scoraggiarvi e di andare avanti con la lettura.
***
Trama:
Io non temo il buio, anzi. Nel buio più profondo anche la paura procede a tentoni e io, invece, ho imparato a vederci.
“Non ti ho mai conosciuto davvero, padre. Uomo sparito, fantasma di un fantasma. Hai carne di vento, pelle di nebbia. Non ti riconosco eppure sei me centomila volte al giorno.” Siamo su una montagna ostile, fa molto freddo. Giona non ha ricordi. Ha poco più di quattordici anni e vive in un villaggio aspro e desolato insieme al nonno Alvise. Il vecchio, spietato e rigoroso, è l’uomo domina il paese e impone al ragazzo compiti apparentemente assurdi e punizioni mortificanti. In possesso unicamente di un logoro maglione rosso, Giona esegue con angosciata meticolosità gli ordini del vecchio, sempre gli stessi gesti, fino a quando, un giorno, non riesce a scappare.
La fuga si rivelerà per lui un’inesorabile caduta agli inferi, inframmezzata da ricordi della sua famiglia, che sembrano appartenere a una vita precedente, e da apparizioni stravolte.
In un clima di allucinata sospensione temporale, il paese è in procinto di crollare su se stesso e la terra sembra sprofondare pian piano sotto i piedi del ragazzo. La verità è quella che appare?
Solo un decisivo cambio di passo consentirà al lettore di raggiungere la svolta finale e comprendere davvero che cos’è l’inverno di Giona.
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